ASSEMBLEE A FALKATRAZ….

VENERDI' 27 LUGLIO

ore 17:30  ASSEMBLEA APERTA

CSA e spazi sociali tra autonomia repressione ed integrazione

DOMENICA 29 LUGLIO

Ore17:30 ASSEMBLEA APERTA

Comunità resistenti contro le devastazioni ambientali. Dalla difesa territoriale al “Grande Cortile”: nuove centrali Api, Quadrilatero spa, inceneritori e business dei rifiuti…

Csa e spazi sociali liberati tra autonomia repressione e integrazione

L'esperienza dei centri sociali, che lo teorizzasse o meno, aveva colto per tempo un aspetto cruciale della trasformazione incombente e cioè il fatto che questa avrebbe determinato la nascita di soggetti irrappresentabili nelle forme date della politica e per una ragione più profonda e radicale dell'insipienza o del tradimento di chi le custodiva e manovrava….Diventava insomma sempre più evidente il fatto che questi nuovi soggetti e le loro biografie disomogenee sarebbero stati segnati, per forza o per amore, da un forte attrito tanto con le morenti regole di uno stato sociale calibrato sul lavoro standardizzato a tempo pieno, quanto con ogni nuovo tentativo di manipolazione e disciplinamento produttivo delle realtà emarginate e delle condizioni anomale in rapida moltiplicazione. Che questo disciplinamento mirava alla persona, alle sue facoltà relazionali e alla sua intelligenza creativa e che, dunque, proprio a queste prima di tutto, doveva essere garantito un luogo di "autonomia". In questo luogo, e per queste ragioni, politica e cultura si sovrapponevano fino a diventare indistinguibili…Quella crisi di rappresentanza e quel prosciugamento delle forme della politica, che avevano accompagnato la nascita dei centri sociali e motivato la loro "defezione", stavano ormai tumultuosamente investendo l'insieme del corpo sociale… In altre parole i centri sociali avevano intuito un problema di cui non potevano arrivare ad abbracciare le dimensioni, poichè queste ne avrebbero scardinato la tranquilla autoriproduzione come "istituzioni della seconda società", la protettiva separatezza, ma anche l'isolamento.

da MARCO BASCETTA IN "LA GABBIA DELLE DUE SOCIETA'" IN "COMUNITA' VIRTUALI, I CENTRI SOCIALI IN ITALIA"

Spazi sociali: necessità sociale ma anche via concreta di lotta politica partecipata, dal basso, realmente democratica.

È questa la realtà dalla quale vogliamo partire per riflettere sui luoghi nei quali si declinano i principi e le pratiche dell’autogestione, primi fra tutti i Centri Sociali, ma anche tutte le altre forme di aggregazione nelle quale chi vi partecipa decide di prendere coscientemente nelle proprie mani il destino della propria vita, del proprio territorio e della comunità in qui vive.

Diciamo coscientemente perché si tratta di saperi e esperienze individuali e particolari che vengono messe in condivisione, rese collettive in modo tale da sfociare in una vera e propria riappropriazione sociale delle conoscenze e delle problematicità, sulla base della quale sorgono poi iniziative, lotte e movimenti realmente popolari e slegati da logiche di filiazione partitica o d’interesse economico, che seguono fino in fondo l’obiettivo che si prefiggono.

Il disagio che i CSA creano ad istituzioni e partiti è quindi dovuto al fatto che qui non possono ritrovarvi basi di consenso, serbatoio di voti, veicolo di profitti; ed è per questo che sono costretti a dipingerli come covo di sovversivi, ricettacolo di devianti, al massimo come un immobile da vendere!!

Chi mette in pratica tale scelta di lotta sa bene come questa sua autonomia, questa genetica irriducibilità al compromesso rispetto ad istituzioni e potentati economici ha un prezzo molto alto. Il ‘conto’ ci viene presentato tutte le volte che si mette in moto la macchina repressiva dallo Stato: quando incrimina (e in qualche caso uccide!) compagne e compagni che  lottano contro la globalizzazione, contro lo sfruttamento e il precariato in tutte le loro forme, contro il fascismo vecchio e nuovo, a difesa della pace e dei migranti; oppure quando viene ciclicamente attaccata l’esistenza stessa di spazi autogestiti – occupati o meno – per minare l’opposizione sociale che i CSA portano avanti. 

Questa strategia è patrimonio comune dei governi e amministrazioni sia di centro-destra che di centro-sinistra poiché entrambi vedono colpiti i propri legami con i rispettivi centri di potere economico-affaristici; o più semplicemente perché riconoscono nei centri sociali l’unica opposizione ai vari piani di gestione inumana, impopolare, socialmente e ecologicamente insostenibile delle nostre città!

È da qui che nasce però nuova linfa, che nascono ancora nuovi impulsi a resistere non solo nei proprio territori, ma ovunque uno spazio sociale viene messo in pericolo, attaccato dalla repressione.

È da qui che la lotta specifica di alcune/i compagne/i si trasforma nella lotta di tutte e tutti coloro che hanno a cuore non un singolo luogo, ma il diritto e la pratica concreta dell’autogestione degli spazi sociali come reale alternativa di vita sociale e politica.

E ciò avverrà sempre d’ora in poi, nonostante gli ostacoli che inevitabilmente troveremo davanti!

 

 

Comunità resistenti contro le devastazioni ambientali. Dalla difesa territoriale al “Grande Cortile”: nuove centrali Api, Quadrilatero spa, inceneritori e business dei rifiuti… 

Il progresso non deve essere confuso con la crescita infinita. Il territorio italiano è piccolo e sovrappopolato, le risorse naturali (acqua, suolo agricolo, foreste, minerali) sono limitate, l'inquinamento e i rifiuti aumentano invece senza limite, il petrolio è in esaurimento.

Progresso vuol dire comprendere che esistono limiti fisici alla nostra smania di costruire e di trasformare la faccia del pianeta. Progresso vuol dire ottomizzare, rendere più efficiente e durevole ciò che già esiste, tagliare il superfluo e investire in crescita intellettuale e culturale più che materiale, utilizzare più cervello dei muscoli.

Il TAV rappresenta l'esatto contrario di questa informazione, è un progetto vecchio e ormai anacronistico, che prevede una crescita infinita nel volume del trasporto merci (che poi saranno i rifiuti di domani), privilegia come valore solo la velocità e la quantità, ignora la qualità, ovvero sè e perchè bisogna trasportare qualcosa.

da FOGLIO INFORMATIVO MOVIMENTO NOTAV AGOSTO 2005 "SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL PROGETTO TAV TORINO-LYON"

 

Dopo e in continuità con l’irruzione dei movimenti no o new global e di quelli contro la guerra globale permanente, quella loro protesta e azione costituente sta manifestando ora in forma moltitudinaria la propensione a sedimentarsi e concretizzarsi nei territori, contaminando nuovi soggetti o intere comunità, proliferando in forme similari eppure sempre diverse e imprevedibili.

La critica allo strapotere delle multinazionali, alla riduzione unidimensionale della vita a mero profitto, la rapace corsa alla privatizzazione e spartizione delle risorse e dei beni comuni, l’integralismo e la segregazione culturale e sociale foraggiati dalle dottrine dello scontro tra civiltà, il pensiero unico del consumismo neoliberista, da rappresentazioni tritate e sfigurate nei meccanismi mediatici e riprodotti in forma diluita e spesso incomprensibile o falsata, sono diventati sempre piu’, seppur a volte in forma istintiva e intuitiva, patrimonio condiviso e leva propulsiva per l’insorgenza concreta e pragmatica di nuovi movimenti.

Dalla rappresentazione globale di uno scontro indotto da movimenti di realtà organizzate ed “eserciti di sognatori”, verso la proliferazione e disseminazione di quel bagaglio di radicalità ad uso di masse critiche variegate, la cui composizione abbraccia soggetti differenti, in grado di abbattere barriere ideologiche, gap culturali, pregiudizi radicati, per condividere spazi comuni: dal parroco di quartiere al noglobal metropolitano, dal sindaco alla casalinga, dal precario all’operaio di fabbrica, dal migrante al lavoratore autonomo, verso una nuova pratica dei diritti di cittadinanza…

I NoTav in Valsusa, Vicenza, Serre hanno espresso punti di rottura e di non ritorno; conflittualità dirompenti in grado di bloccare i progetti di devastazione ambientale di una classe di potere trasversale che annulla qualsiasi semplicistica ipotesi di “governo amico” e di mediazione istituzionale.

Movimenti nuovi quanto sorprendenti: perché capaci di mobilitare intere comunita’, perché completamente aderenti e immanenti al vissuto quotidiano, perché portatori di una potenziale  e reale capacità inclusiva e di un effetto trascinamento che si estende a macchia d’olio, perché in grado di mettere in crisi e bloccare gli incancreniti meccanismi rappresentativi della politica dei palazzi, perché infine e soprattutto dimostrano nei fatti la loro efficacia.

Comunità resistenti quindi.Il recupero del concetto di “resistenza” non vuole essere un omaggio retorico a retaggi del passato, ma la scommessa concreta che a partire da una pratica solo apparentemente negativa e difensiva, il “resistere” a qualcosa quale atto di risposta in extrema ratio, si è in grado di sprigionare una potenza costituente e creatrice che rinnova e trasforma i soggetti e i territori in cui viene praticata. La resistenza mentre reagisce crea, e crea nuovi legami, valori, relazioni condivise. Crea e rinnova comunità, restituendo loro, in forma autorganizzata e soggettiva, un senso compiuto e una loro dignità.

Acerra, Scanzano, Serre non sono piu’ luoghi desolati trasformati in discariche a cielo aperto. La Valsusa rifiuta il ruolo preordinato di comunita’ montana gelosa di sé e lontana dal mondo della metropoli. Vicenza non è l’avamposto militare strategico statunitense di gestione dei conflitti preventivi mediorientali o euroasiatici. In Campania si propongono nuove politiche di gestione dei rifiuti e di ripensamento non solo del ciclo produttivo, ma delle stesse forme di vita personali e collettive. La Valsusa è meta e centro di aggregazione di nuove esperienze di democrazia partecipata e di critica al progresso nichilista impersonato dalle “grandi opere”. Vicenza diviene il simbolo del rifiuto della guerra e della propensione verso nuove pratiche di diplomazia dal basso.

La comunità, concetto contraddittorio e indeclinabile in modo univoco,  non è un apriori immutabile ma una realta’ in continua costruzione, che si nutre e si alimenta nelle pratiche resistenziali. 

E il nuovo agora’ di questa intricata babele è ben rappresentato dall’immagine proposta dai valsusini, in polemica verso chi li tacciava di essere affetti dall’egoista sindrome “nimby” (not in my backyard, non nel mio territorio…) del “grande cortile”, dello spazio pubblico aperto e costituente, dell’intima compartecipazione e condivisione dei beni comuni di un dato territorio, della cittadinanza attiva che si riappropria e produce diritti.

Il Forum Internazionale del Grande Cortile svoltosi in Valsusa agli inizi del 2006, ha trasformato una periferia, anche dal punto di vista geografico separata e isolata, in centro, in luogo familiare e confortevole dove sempre più cittadini “riscoprivano il gusto dello stare insieme, del socializzare, del partecipare, dell’apprendere come esistano molteplici realtà costruttive da contrapporre al penoso berciare della televisione, alla solitudine esistenziale di un’umanità impegnata solo a consumare ed ormai incapace di comunicare, di leggere, di esprimere pensiero che non sia stato indotto dalla giornaliera tempesta mediatica e pubblicitaria”.  

Con questo spirito siamo arrivati a Falkatraz, per aprire spazi di discussione sui molti grandi cortili che stanno spuntando per ogni dove, anche qui nelle Marche, e per riflettere sul nostro, sempre più espropriato, devastato, minacciato dall’affarismo della Quadrilatero, dalla rapace e tentacolare colonizzazione dell’Api, dal servilismo interessato delle istituzioni ad ogni livello…La ristrutturazione della viabilità del quadrilatero Marche-Umbria viene presa a pretesto indiscutibile per espropriare porzioni di territorio e di risorse locali ad uso e consumo di interessi economici e speculativi; a fronte di un ostentato disprezzo per la sicurezza del territorio e la salute dei cittadini che lo abitano, l’Api impone il progetto di due nuove centrali elettriche che non solo rafforza l’anacronismo della scelta strategica del permanere della raffineria (in barba a qualsiasi velleità di riconversione in “polo energetico ambientale avanzato”…), ma apre a nuovi scenari di smaltimento e incenerimento di chissà quali sostanze nocive; una classe politica screditata e dissestata si adagia cinicamente al ricatto dei livelli superiori regionali e dei potentati economici pur di sopravvivere a se stessa e gestire la crisi, mentre solo qualche mese fa scimmiottavano i cliches della democrazia partecipativa…

Questioni gravose, pesanti, per una piccola cittadina provinciale come Falconara, che pure resta perno centrale degli interessi e dello sviluppo regionale…Questioni che certo necessitano di una partecipazione e condivisione allargata, per lo meno quanto lo sono gli effetti e le conseguenze che sprigionano.

Basti pensare che l’AERCA, l’area a elevato rischio di crisi ambientale così come delineata dalla Regione, ricopre buona parte della provincia di Ancona…

Problematiche quindi tutt’altro che localistiche e limitate all’ambito cittadino, ma che necessariamente non possono non trovare in Falconara e nei falconaresi il punto nevralgico di una qualche rottura e rinascita. Ora come non mai questa città dovrà decidere se essere parte della soluzione o del problema.

Se essere un piccolo grande cortile o, come ama dire il locale patron del petrolio, un agglomerato periferico di case intorno alla raffineria.

Se riscoprirsi comunità che resiste o lasciarsi affossare verso un destino che non merita.  

Intervengono, tra gli altri: 

Enza Amici, Rete No-Pav 

Carlo Brunelli, ex Assessore urbanistica e ambiente Falconara

Loris Calcina, Comitati Cittadini Falconara

 

Gilberto Maiolatesi, Assessore ambiente e integrazione Jesi

Adriano Mei, Coordinamento dei Comitati per la difesa delle valli del Metauro, Cesano e Candigliano 

Ivan Cicconi, saggista e ricercatore 

Valentina Cancelli, Comitati NoTav Valsusa 

Olol Jackson, Presidio Permanente NoDalMolin Vicenza

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