NESSUN ALTRO IMPIANTO INQUINANTE PUÒ ESSERE PERMESSO NELLA BASSA VALLESINA #fermiamoildisastroambientale dice NO al progetto Edison alla Zipa di Jesi per lo smaltimento di rifiuti pericolosi
Un investimento di oltre 30 milioni di euro, un profitto atteso di circa 300 euro a tonnellata di rifiuti moltiplicati per una stima prevista di circa 200 mila tonnellate di rifiuti trattati l’anno. 110 mila tonnellate di rifiuti solidi (per lo più terreni inquinati), 175 mila liquidi, anche pericolosi, oltre 7 linee di smaltimento per un megaimpianto omnibus che smaltisce di tutto, dai residui dei processi di raffinazione all’amianto. Un aumento del traffico veicolare pesante di circa 16 mila unità l’anno (che si somma a quello previsto dal vicino nuovo polo logistico Amazon…). Un sensibile aumento delle emissioni in atmosfera di ammoniaca, acido cloridrico, ossidi di azoto, cov, polveri sottili e fibre di amianto, oltre agli scarichi in fognatura nel già martoriato esino e le 50 mila tonnellate all’anno di rifiuti non smaltibili destinati a discariche.
Questi alcuni numeri dell’impianto proposto alla Zipa di Jesi (area industriale da bonificare) da una delle società di Edison, azienda gia oggetto di procedimenti giudiziari e cause risarcitorie per il Sin di Bussi in Abruzzo.
A tutto questo si aggiunge un enorme questione democratica:

ROMA, 10 SETTEMBRE 1960.
equilibri. Pertanto, è sempre più imperativo riconsiderare i modelli produttivi e di sviluppo che hanno contribuito a creare questa crisi e individuando che cosa si intende, e cosa vogliamo che si intenda, con ‘transizione ecologica’.
Ondate di calore, siccità, desertificazione del suolo, aumento delle morti per inquinamento atmosferico. Queste sono solo alcune tra le conseguenze della crisi ecologica e climatica cui assistiamo quotidianamente. Tali fenomeni, tuttavia, non sono improvvisi, ma derivano da precise politiche ambientali e da modelli di gestione dei territori che sono stati attuati ignorando gli allarmi e le proteste delle comunità locali.
Territori in lotta nasce dal desiderio di interrogare in modo più ampio le dinamiche dei conflitti sociali per riflettere sulla relazione tra crisi eco-climatica, democrazia e capitalismo a partire dal territorio, oggetto e presupposto dei nuovi processi globali di accumulazione e, al contempo, punto privilegiato da cui osservare le forme di resistenza che si danno dentro e contro questo sistema neoliberista.
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