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25 aprile 2010: a sessantacinque anni dalla data che ha segnato la vittoria della Resistenza partigiana, Falkatraz Resiste, giunta alla sua 6 edizione, ritorna nella sua, ormai, abituale location primaverile (guarda dove); e come ogni anno lo fa, non per celebrare stancamente una ricorrenza che inevitabilmente si allontana sempre più da noi, ma per rivivificare ed attualizzare lo spirito di libertà, di giustizia sociale, di immaginazione e sperimentazione di una possibile società migliore, che animò le/i tante/i partigiane/i artefici della Liberazione dal nazifascismo.
Per questo, in primo luogo, non possiamo scordare le nostre radici antifasciste.
Tanto più oggi, in un momento nel quale altri, invece, vorrebbero passare un colpo di spugna sulla Memoria del nostro paese, arrivando persino a cancellare dalle linee fondamentali dei programmi scolastici liceali la storia del movimento di Resistenza. Un’omissione inaccettabile, figlia del clima d’intolleranza e di riemersione, da più parti, di rigurgiti razzisti e neofascisti…
Radici antifasciste che abbiamo recentemente rivissuto visitando il Museo della Resistenza di Falconara e ricordando due protagonisti della Resistenza marchigiana, purtroppo scomparsi negli ultimi mesi: Wilfredo Caimmi e Derna Scandali. Due personalità diverse nel loro modo di vivere e interpretare la lotta per la libertà e per i diritti. Ed è proprio nella loro diversità che risiede la chiave di lettura per capire come questa lotta è stata ed è frutto soprattutto di una partecipazione dal basso e “come ogni suo tassello venga posto dal paziente lavoro di una moltitudine di attori e situazioni, delle quali tutti, nessuno escluso, siamo partecipi”.
Allora, oggi come ieri, la Resistenza è difesa di libertà e diritti.
Libertà e diritti che negli ultimi anni vengono sempre più sacrificati sull’altare di quello che sembra affermarsi come l’“unico diritto” supremo: quello alla fantomatica “sicurezza” che invece non è che il sentimento complementare della paura, indotte entrambe ad arte per soffocare ed immobilizzare, tentando di rendere ognuno di noi acconsenziente e passivo di fronte a qualsiasi sopruso, prevaricazione, aberrazione. Una società che cerca di rendere le nostre vite sempre più precarie, ricattabili, e perciò sottoponibili ad un controllo sociale ramificato e soffocante.
Contro questi biechi tentativi di renderci attori dello sceneggiato insicurezza, una moltitudine di individualità, di soggettività, di comunità in maniera sempre più decisa e radicale contrappone alle diverse forme di controllo sociale, di negazione dei diritti e di sfruttamento dei beni comuni, la sperimentazione e la produzione di nuovi percorsi di indipendenza ed autonomia.
Diritti e reddito
Resistere è innanzitutto respingere l’emarginazione sociale e la criminalizzazione del diverso, categoria nella quale sempre più strati di popolazione vengono identificate. Al crescente numero di persone scivolate in una situazione di povertà (e di precarietà della propria vita) a causa di una crisi che non hanno generato ma le cui conseguenze si vorrebbe far subire loro, si risponde sempre più spesso negando ogni forma di sostegno ed anzi additandole come pericolo sociale e per questo meritevole di essere sanzionate e represse (ne abbiamo avuto tristi esempi anche nella nostra città ). Oggi più che mai vanno invece affermati come imprescindibili innanzitutto il diritto all’abitare e quello al reddito garantito per tutte/i, diritti che consentano di vivere una vita dignitosa, unica vera alternativa al rischio del degrado sociale cittadino.
Nella stessa direzione si muove la strumentalizzazione della figura dello straniero, additato come maggiore responsabile dell’insicurezza e per questo soggetto verso cui è lecito agire un permanentemente indagine; costretto a dimostrare continuamente il proprio stato, subisce in prima persona una sistematica negazione di diritti fondamentali, come quelli alla salute, all’istruzione o persino alla libertà individuale, rischiando costantemente di essere confinato nei CIE, veri e propri lager di Stato, che si vorrebbero ora costituire in ogni Regione o di essere respinto come un pacco indesiderato alle soglie delle nostre frontiere, negli stessi paesi di cui ogni giorno il nostro governo porta avanti “eroiche” missioni di esportazioni di democrazia.
Proprio nel vicino porto di Ancona, si consumano quotidianamente decine di questi abusi, dai quali è nata l’esigenza di denunciare tale situazione attraverso la pubblicazione-inchiesta “Il porto sequestrato” redatta dall’Ossevatorio “Faro sul Porto”, del quale l’Ambasciata dei diritti di Falconara è co-attore, e che verrà presentata in anteprima l’11 (Venezia), il 13 (Ancona) e il 14 maggio (Perugia).
Con il lavoro quotidiano dell’Ambasciata dei diritti, e non solo, vogliamo invece sovvertire il rapporto con l’immigrazione imposto dalle attuali normative, ponendolo su di un piano di cooperazione concreta, a partire dai quartieri delle nostre città, per una reciproca conoscenza, che rifiuta fermamente la criminalizzazione delle/degli straniere/i, il razzismo e la xenofobia dilaganti, e che afferma il riconoscimento dei diritti sociali e di cittadinanza anche alle/agli straniere/i, perché solo garantendo diritti per tutte/i si possono garantire diritti a tutte/i (italiane/i comprese/i…).
Beni comuni
Un altro fondamentale terreno su cui si sviluppa oggi la Resistenza è quello della difesa dei beni comuni.
Il territorio è sempre più posto sotto scacco da parte di lobby affaristiche che cercano di sottomerlo ai propri (molto spesso obsoleti) interessi, sfruttandone al massimo le risorse e restituendo a chi vi vive soltanto inquinamento e devastazione ambientale, crisi economica e precarietà.
Il nostro essere resistenti a questo modello economico – che ha portato alla peggiore crisi economica degli ultimi ottant’anni, di cui le conseguenze perdurano e perdureranno ancora per tempo, con il loro strascico di desolazione sociale, di inquinamento e di cambiamento climatico dilagante – vuole innanzitutto reclamare il diritto di scegliere il futuro dei nostri territori e delle nostre vite, puntando fortemente su di un modello economico partecipato e cooperante, che tenga conto delle potenzialità peculiari dei territori in maniera condivisa da parte dei soggetti che vi risiedono.
Un modello che si basi sulle energie rinnovabili a basso o nullo impatto ambientale e sul risparmio energetico, sulla valorizzazione delle risorse economiche locali, sull’utilizzo di alimenti biologici e non geneticamente modificati, sul riciclaggio e il riutilizzo dei rifiuti e sull’autoproduzione.
Durante il Falkatraz Resiste del 25 aprile saranno quindi presenti banchetti informativi su molte di queste tematiche, che apriranno una finestra su dei percorsi che quotidianamente parlano ed agiscono su di un piano di autodeteminazione della vita dei propri territori, che portano esempi di tutela dell’ambiente, dell’economia, della sicurezza sociale.
Tra tutti questi temi spicca quella che sarà la lotta fondamentale in difesa dei beni comuni nei prossimi mesi (e forse dei prossimi anni): la campagna contro la privatizzazione dell'acqua.
Infatti proprio il 24 e il 25 aprile inizia la raccolta
firme “Liberiamo l'acqua dal mercato” per la presentazione dei tre referendum per
la ripubblicizzazione dell'acqua. L'anniversario della Liberazione dal
nazifascismo è occasione per liberare anche l'acqua dal mercato e dal profitto.
Una battaglia fondamentale che vuole sottrarre l’acqua, diritto inalienabile dell’essere umano, alle logiche del profitto e del mercato attraverso la privatizzazione degli impianti idrici; una scelta scellerata che, laddove è stata portata avanti ha già mostrato tutte le sue aberranti conseguenze: aumento spropositato delle tariffe (200-300% per l'uso abitativo,400-500% per le attività commerciali), enormi sprechi di risorse idriche, danni ambientali causati dai mancati investimenti in manutenzione e controllo degli impianti di depurazione,ecc.
Già in altre parti del mondo si sta
sviluppando ormai da molti anni. Esempio emblematico è la guerra per l’acqua
della popolazione cochabambina. Dieci anni fa questa popolazione povera (per
primi i contadini regantes, poi gli operai, poi gli ex minatori
arrivati pochi anni prima senza niente ai bordi della città, andando a
rimpinguare le file delle baraccopoli della Zona Sud di Cochabamba; infine
anche impiegati, insegnanti, fino a coinvolgere tutti i segmenti della società) si era opposta alla privatizzazione della gestione idrica cittadina per mano
della statunitense Bechtel. Quelli che non avevano mai avuto un allacciamento
all’acqua, quelli che non avevano più un boliviano per pagarla, quelli per cui
l’acqua era sacra, e non mercificabile, quelli per cui l’acqua era un diritto
umano: si erano saldati in un unico fronte, perché senz’acqua non si vive. Che intorno all’acqua esistono interessi enormi, lo ribadisce la storia dei
conflitti Israelo-Palestinese. Questo conflitto, infatti, ha tra le sue cause
principali la corsa all’accaparramento delle esigue risorse idriche. Le
conquiste effettuate da Israele a seguito della “Guerra dei sei Giorni” (5-10
giugno 1967) hanno avuto anche il fine di assumere il controllo totale della
Valle del Giordano, dalle sorgenti situate sulle Alture del Golan fino al Mar
Morto attraverso la Cisgiordania, e della falda acquifera montana della
Giudea-Samaria. Un terzo dell’acqua consumata da Israele proviene dal Golan.
Oggi in Italia ci troviamo a dover combattere la stessa
battaglia, la battaglia che riguarda tutti da vicino. L’acqua è vita e non può
essere posta alla stregua di una merce come stanno cercando di fare. L’acqua
non può arricchire le multinazionali e tutti gli interessi che vi girano
attorno. L’acqua è un diritto e come tale dobbiamo difenderlo.
Allora diventiamo tutti staffette del bene comune acqua!
La Resistenza di ieri rivive, oggi, nella difesa dell'acqua libera e pubblico, dei beni comuni, dei diritti e del reddito per tutte/i.