Il nome della cosa

Oggi sull'inserto de Il Manifesto, L'extraterreste, un ottimo articolo di Maria Cristina Fraddosio su Falconara. [SCARICA QUI LA VERSIONE INTEGRALE]Disastro ambientale, getto pericoloso di cose, combustione illecita di rifiuti, smaltimento illecito di gpl, lesioni colpose e violazione di numerose prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale in concorso di colpa. Sono queste le accuse mosse dalla Procura di Ancona contro la società Api del gruppo Ip e i suoi vertici: 19 le richieste di rinvio a giudizio a seguito delle indagini soprannominate Oro nero. La prima udienza preliminare dinanzi al gup Francesca De Palma è fissata per il 18 gennaio. Le «sistematiche violazioni» sarebbero avvenute all’interno della raffineria di Falconara Marittima, nelle Marche, al fine di «massimizzare l’attività produttiva dell’impianto» e di non comprometterla «risparmiando gli ingenti costi per l’ispezione, la manutenzione e l’adeguamento dei serbatoi, della rete fognaria e degli impianti».

LE MATRICI AMBIENTALI E LA SALUTE dei cittadini sarebbero state compromesse. Sul banco degli imputati con varie accuse figurano i dirigenti della società, tra cui l’ad Giancarlo Cogliati, il responsabile del reparto operazioni Pierfilippo Amurri, quello di salute, sicurezza, ambiente e qualità Giovanni Bartolini, Daniele Galassi del reparto manutenzioni, Carlos Alberto Lucertini della movimentazione e spedizione prodotti, Francesco Luccisano delle relazioni esterne, Andrea Arcangeletti e Simone Margiotta del reparto ispezioni. E Daniele Fiorucci a capo della logistica, Luigi Caiazzo, Marco Felicetti, Antonio Fratellini, Marco Ciattaglia, Michele Del Prete, Stefano Tarini, Luca Pieralisi e Damiano Quarta. Anche l’ex direttore generale dell’agenzia regionale per la protezione ambientale Arpam, Giancarlo Marchetti, dovrà difendersi: è accusato di abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e istigazione alla corruzione. Avrebbe favorito «un ingiusto vantaggio patrimoniale della società», circa 10/20 milioni di euro, e rivelato in anticipo i controlli. Dalle intercettazioni emergerebbe anche la presunta sollecitazione per «un posto di lavoro a Roma».

A RICHIEDERE IL RINVIO A GIUDIZIO per i 19 imputati è stato il pubblico ministero Irene Bilotta. Sono 1.052 i cittadini che hanno presentato querela e tra le parti offese figurano anche il Comune, la Regione e il Ministero della Transizione energetica. L’impianto petrolchimico dell’Anonima Petroli Italiana, guidata dal cavaliere del lavoro Ugo Brachetti Peretti, è attiva a Falconara da oltre mezzo secolo. La strategica posizione lungo la dorsale italiana ha garantito lunga vita a quello che originariamente era un deposito di carburanti. A Falconara si producono bitumi e carburanti. Il gruppo Ip, con l’acquisizione della Total Erg, conta 4600 distributori e ha da poco celebrato il suo 90° anniversario, vantando una capacità di raffinazione di 10 milioni di tonnellate di petrolio. Di incidenti a Falconara Marittima ce ne sono stati molti. Esplosioni, boati, fiammate e anche vittime tra gli operai. Ci sono stati sequestri, indagini e processi. Quando ci sono state condanne era già tempo di prescrizioni.

L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ HA IPOTIZZATO rischi per la salute della popolazione già più di un decennio fa e sono anni che i cittadini denunciano le esalazioni. L’impianto petrolchimico, 70 ettari, si occupa di lavorazione, raffinazione e stoccaggio di prodotti idrocarburici. L’area in cui sorge è compresa tra il mare Adriatico, il fiume Esino e la strada statale 16 Adriatica. Secondo la Procura di Ancona la società e i vertici avrebbero «cagionando una grave ed irreversibile compromissione delle acque, dell’aria e di porzioni estese del suolo e del sottosuolo», avrebbe smaltito illecitamente gpl, non destinabile alla vendita, bruciandolo per disfarsene e provocando così «immissioni nocive».

ANCHE LE ACQUE SAREBBERO STATE gravemente contaminante: «Veniva più volte riscontrata la presenza di acque reflue industriali contenenti idrocarburi nei canali di scolo che attraversano l’intera area della raffineria e poi confluiscono nel mare Adriatico», scrive la Procura. Dai rilievi sarebbero emersi additivi delle benzine (Mtbe), metalli pesanti, cloruri, benzene e idrocarburi totali. In alcuni casi i contaminanti avrebbero raggiunto quantitativi anche mille volte superiori ai limiti di legge. Liquidi industriali sarebbero stati smaltiti direttamente in mare. In dieci anni «i quantitativi accertati di Mtbe immessi direttamente nel Mare Adriatico – sostengono gli inquirenti – risultavano pari a circa 1.000 kg/anno equivalenti alla massa di un’automobile Fiat Grande Punto». L’inefficacia della barriera di emungimento sarebbe stata accertata da Arpam già nel 2017. «Inoltre – secondo la Procura – la rete fognaria oleosa della raffineria presentava significative e diffuse perdite dovute a plurime, datate ed estese rotture delle tubazioni». Le condizioni dei serbatoi vengono definite «pessime», con forature, crepe e «un cattivo stato di manutenzione».

NEI CASSONI DEL TETTO GALLEGGIANTE sarebbe emersa anche la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) non censite nelle autorizzazioni. In merito alla «grave» compromissione della qualità dell’aria, «la stessa – si legge agli atti – era provocata dalle ripetute emissioni in atmosfera di gas derivanti dalla lavorazione degli idrocarburi». Il riferimento è all’incidente dell’11 aprile 2018, quando sarebbero fuoriusciti 15 mila metri cubi di petrolio greggio, a causa dell’inclinazione del tetto galleggiante del serbatoio TK-61, con conseguenti sintomi tra i cittadini, come nausea, problemi respiratori, vertigini e mal di testa per via delle esalazioni.

PER QUELL’INCIDENTE SI CONTANO circa 1500 querele per lesioni. Per la Procura si sarebbe trattato di un «deliberato rilascio in atmosfera di composti gassosi tossici e inquinanti». Presumibilmente per massimizzare i profitti, non compromettere l’attività produttiva e risparmiare sui costi di manutenzione anche durante il sequestro penale con facoltà d’uso degli impianti.

 

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