Il contributo dei Centri Sociali delle Marche alla stesura collettiva ‘a mille mani e mille teste’ della piattaforma per la manifestazione nazionale di sabato 26 marzo
È una storia che inizia quel nove luglio, una data che ancora conserviamo perchè è giusto avere memoria dell’atto di occupazione di una fabbrica. Ma è anche una storia che viene da lontano, passata per l’impegno nell’autorganizzazione sindacale, che affonda le radici nelle lotte operaie che hanno segnato il corso degli eventi in questo paese.
Questa storia che viene da lontano è anche la ‘nostra’ storia, quella a cui appartiene il ‘noi’ di quella comunità senza patria, dove tante e tanti si ritrovano accomunati da una stessa volontà, quella di modificare lo stato di cose presenti.
Conosciamo bene la disgregazione e il logoramento che affliggono questa comunità, che porta i segni della morsa di un’oppressione e di una coercizione sempre più aspre; ma pare non abbia più la forza di reagire a un declino di inaridimento e corruzione, la forza di una pratica e un pensiero capaci di tornare ad essere espressione e riferimento per le classi subalterne.
È proprio qui il valore di quel pezzo di storia che si è cominciato a scrivere il nove luglio: dare un segnale, affermare che è ancora possibile, restituire speranza e trasformarla in voglia di riscatto. E fare questo in un frangente cupo e disarmato dove anche solo la possibilità di relazione con l’altro pareva messa in discussione: tornare a incontrarsi in un’afosa giornata di fine luglio questo ha significato.
Ci siamo sentiti da subito coinvolti in quella messa a disposizione, nell’invito aperto, fatto di parole semplici ma potenti, a provare a cambiare i rapporti di forza, a lavorare per convergere. E abbiamo iniziato a camminare insieme, lo abbiamo fatto il diciotto settembre e nei successivi appuntamenti di piazza contro licenziamenti e delocalizzazioni, durante i momenti di incontro tracciati da un tour militante, dall’occupazione di Campi Bisenzio, passando per un centro sociale fino ad arrivare fuori ai cancelli di un’altra fabbrica in ostaggio, la Caterpillar di Jesi. Qui, dove quella parziale vittoria ottenuta a Firenze ha avuto la possibilità di replicarsi grazie a quella faticosa, genuina tessitura di legame operaio maturata anche al presidio #senzatregua.
Abbiamo condiviso tentativi per ricomporre quanto si vorrebbe diviso dalla falsa dicotomia fra ambiente e lavoro, aprendo spazi di confronto che provino a misurarsi su forme della produzione e strategie di uscita dalla crisi.
Questo cammino ci ha condotto fino a qui, alla vigilia della giornata di mobilitazione di sabato 26 marzo, alla quale abbiamo dedicato il nostro contributo allo sforzo collettivo, per comporre il quadro delle linee di convergenza, dalle battaglie durevoli per la giustizia climatica e a difesa dell’ambiente in cui viviamo, al vivace attivismo contro sfruttamento e disciplinamento nella scuola e nell’università.
In un presente segnato da miseria, guerra ed emergenza permanente, sabato saremo chiamati a dar voce anche a quelle urgenze, a quei bisogni piegati da precipitazioni del reale alle quali non eravamo pronti: mettere al riparo il diritto a una vita dignitosa dalla stretta di crisi e speculazione, tutelare reddito e salario ponendo il nodo dell’indicizzazione all’inflazione – e questo senza dimenticare gli ultimi dopo i penultimi, oggi soli davanti a razzismo e discriminazione. Affermando infine, con coraggio, la diserzione come unica scelta possibile in grado di esprimere una vera contrarietà alla guerra, alla corsa al riarmo, allo stato d’emergenza.
Sappiamo bene quanto questo compito sia arduo, abbiamo piena coscienza di limiti e mancanze, del nostro essere insufficienti a noi stessi e agli obiettivi che ci prefissiamo, di come la strada per convergere sia ripida e dissestata. Sono proprio queste motivazioni a spingerci con maggiore ostinazione verso questa direzione, perché abbiamo estrema necessità che quello spazio di possibilità conquistato a fatica non si richiuda, ma possa estendersi e moltiplicarsi. Per provare a imprimere potenza collettiva a quel ‘convergiamo per insorgere’. Per mettere insieme altri pezzi di questa storia e arrivare finalmente a scriverne una nuova.